Le forze del mondialismo stanno rilanciando, a ogni piè sospinto, la realizzazione di cronoprogrammi e strategie per raggiungere l’interruzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050. Dietro questi piani si celano intenti più subdoli: è infatti ormai evidente ai più che the next generation debba passare attraverso the great reset e viceversa. Si tratta di un processo di acceleramento già iniziato con i lockdown pandemici – pseudo-rivoluzione sociale finalizzata alla calcificazione dell’uomo atomizzato, servito da corrieri, controllato nei consumi, pagato da piani di assistenzialismo e imbottito di farmaci – in via di finalizzazione con il pretesto del conflitto russo-ucraino.
Dal Green Deal dell’Unione Europea al burattino Greta Thunberg la via è stata tracciata: salvaguardare l’ambiente a tutti i costi, anche a costo dell’uomo stesso, che, quando si riproduce, è considerato un inquinatore seriale. Già, perché ciò che muove la struggente crociata ecologista non è la riscoperta del creato come diretta manifestazione del divino e quindi valorizzazione spirituale dell’uomo nel suo ambiente, bensì bieco sentimentalismo e cinico calcolo: un irrazionale reflusso di paura unita a una materialista volontà di profitto.
È così che, convinti dell’inesistenza di alternative per una reale salvaguardia della natura, chiunque ormai è disposto a mangiare insetti, a non mettere al mondo una nuova vita o semplicemente a non lavarsi per giorni, o ancora a negare dignità alla propria persona o a rinunciare a santificare la propria vita con il lavoro, pur di contribuire ad abbassare il riscaldamento globale.
Eppure le esperienze tradizionali ci insegnano che la difesa ambientale può anche essere intesa come salvaguardia dell’uomo nel suo ambiente e la tutela della natura può convertirsi in una cosciente collaborazione armoniosa tra lavoro e quindi dignità dell’uomo, da un lato, e profonda riconoscenza alla fertilità del suolo, dall’altro. Natura e lavoro – o, per dirla con altra terminologia, ecologia ed economia – non sempre sono stati in contraddizione né in conflitto tra loro. Anzi: se l’ecologismo moderno è disposto a salvare il pianeta a costo di uccidere l’uomo, per il punto di vista tradizionale eco-logia ed eco-nomia sono due punti di vista da cui osservare, regolare e costruire la casa – in greco, oikos – dell’uomo nel quale l’uomo si inserisce in quanto parte del tutto: la terra natia o, più in generale, il manifestato che lo circonda.
Ed è proprio su questi temi che verte l’ultima novità targata Cinabro Edizioni: frutto di una lunga ricerca tra archivi e riviste a cura del gruppo abruzzese di Coscienza e Dovere, è stata da poco data alle stampe l’opera omnia,in tema di rilancio dell’agricoltura e difesa della terra, di Arnaldo Mussolini. Il fratello del Duce, prematuramente passato oltre il 21 dicembre del 1931, è stato infatti un serio studioso di agraria dotato di una grande sensibilità ecologica che comportò all’autore di questi testi il titolo di dottore in Scienze agrarie honoris causa rilasciato nel 1928 dall’allora “Regio Istituto superiore agrario” di Milano. Egli aveva dedicato tutta la sua vita alla riorganizzazione dell’agricoltura, alla rinascita boschiva, alle bonifiche e al culto degli alberi. Come è stato ricordato da Adriano Scianca in un articolo pubblicato sul Primato Nazionale,per i centrotrent’anni dalla sua nascita, Arnaldo fu apprezzatissimo pioniere mondiale di moltissime scoperte e battaglie ecologiste, purtroppo oggi semi-dimenticato dalla storiografia ufficiale e dai nuovi stregoni dell’ecologismo moderno. Ancora oggi in giro per l’Italia si può incontrare qualche “Giardino Arnaldo Mussolini” a stento sopravvissuto alla censura talebana della più recente cancel culture. Fu nominato presidente del Comitato Nazionale Forestale e collaborò assiduamente al giornale Il Bosco, dalle cui colonne ebbe a dire che in Italia era ormai giunta l’ora di «generalizzare un nuovo convincimento»: «il culto dell’albero», ponendo così all’attenzione del regime il «problema dell’«educazione civile» e del «rispetto verso gli alberi».
Ed è proprio Il bosco e l’aratro. Scritti e discorsi di carattere forestale e agrario il titolo della appena citata raccolta, già pubblicata nel 1932 con il titolo originale di Gli scritti e i discorsi di carattere agrario del Dott. Arnaldo Mussolini. Il lavoro di riscoperta e collezione di tutti i testi presenti nel libro appena pubblicato lo dobbiamo infatti allo studente del “Regio Istituto superiore agrario” di Milano, Diego Giorgi, il quale – come recita la premessa originale della prima edizione – volle tributare ad Arnaldo, all’indomani della sua dipartita, questo corposo e faticoso lavoro, a costo di rinunciare a tutte le sue vacanze estive…! Verrebbe da dire: altro che Gretini pronti a difendere la natura in piazza pur di saltare un giorno di scuola.
Ma torniamo alla pubblicazione: questa raccolta rappresenta, infatti, a tutti gli effetti il lascito, dal punto di vista agrario e ambientale, di Arnaldo. La sua prematura scomparsa aveva gettato nello sconforto tutti i suoi più stretti collaboratori e fedeli seguaci, i quali, avendolo accompagnato nell’impegno da lui profuso, con l’energia tipica di famiglia, in quella grande rivoluzione che aveva visto nel rilancio della coltivazione dei campi e il rimboschimento dei monti un’opportunità per ravvivare la rinascita delle anime degli italiani, ancora credevano fermamente che, nella difesa degli alberi del suolo natio e nella cura dei campi coltivati, si celasse la più audace salvaguardia delle radici spirituali di un popolo.
Il libro racchiude, oltre a quattro discorsi da lui recitati in pubblico, anche tutti i trentaquattro articoli che Arnaldo scrisse e poi pubblicò, spesso senza firma, durante la sua attività alla guida de Il Popolo d’Italia, giornale che gli venne affidato, nei giorni successivi all’instaurazione del regime, dal fratello Benito, fino ad allora capo e fondatore del famoso periodico. Così, nelle mani sicure del fratello, la testata motrice della rivoluzione trovò con Arnaldo una rinnovata spinta nello stile e nella diffusione con una poliedrica offerta editoriale, che si spinse fino alla pubblicazione di articoli di carattere agrario e ambientale.
Fu proprio nel 1923 che Arnaldo, attraverso Il Popolo d’Italia, lanciò la famosa battaglia del grano, che donò al popolo italiano una rinnovata nobiltà di sangue e suolo (per dirla con Walther Darré). Arnaldo con essa sanciva la nuova visione dell’agricoltura come vero mezzo di dignità e libertà del contadino, nucleo della potenza di un popolo, di contro alla visione puramente quantitativa del comunismo e del capitalismo interessati soltanto a sfruttare i territori a costo di asservire l’uomo e la natura alla macchina distruttrice e alla tecnica senza anima. Con questi scritti ci viene anche mostrato uno scorcio prospettico e raccontata da un punto di vista interno la storia della lunga marcia rurale dell’Italia del Ventennio, all’indomani dell’avvio delle note battaglie che si estesero dal rimboschimento collinare alla bonifica delle zone malariche.
Allo stesso modo è da queste pagine che emerge una viva testimonianza del noto sforzo da lui profuso per il rinato culto dell’albero, per il problema forestale messo all’ordine del giorno dei piani nazionali grazie alle sue tenaci insistenze, per la bonifica dei monti oltre che delle pianure da lui fortemente auspicate. La festa dell’albero – che ancora oggi da qualcuno, più per inerzia che per convincimento, viene celebrata il 21 novembre – fu istituita per volere dello stesso Arnaldo.
Ma dalle colonne del Popolo d’Italia, si badi, Arnaldo non svilì il suo impegno politico riducendolo a mera cassa di risonanza delle iniziative ufficiali ma anzi lanciò le sue invettive senza lesinare aspre critiche rettificatrici alle storture dell’ambiente fascista compresa quella – ahinoi conosciuta – vuota retorica di regime che delle sue richieste di rimboschimento faceva a suo dire semplice «parodia»: ad un Comitato che lo aveva invitato a presenziare ad una plantumazione simbolica di un manciata di alberelli fece osservare che «non era di buon gusto fare la caricatura delle cerimonie e che la questione degli alberi, del bosco, del monte e delle foreste era cosa assai più complessa di una semplice parodia».
Il testo che oggi presentiamo dimostra quindi che quella che allora era in atto può essere definita, proprio con le parole di Arnaldo, una «bonifica integrale» che prima che «sulla terra» doveva essere fatta «sugli spiriti». Perché a tanto fervore di opere «doveva corrispondere una sana preparazione degli spiriti, per educare specialmente i giovani alle buone discipline forestali e per formare fra le nuove generazioni una consapevolezza silvana, in piena armonia con l’iniziata rinascita economica della montagna».
Un monito per l’ecologismo dei tempi moderni che dello spirito sembra aver perso completamente memoria.