“Il destino dell’Europa, realtà storica nata dal Cristianesimo nel Medioevo, è legato ai valori cristiani e ai valori medievali del mondo. Sono valori europei eterni, in ansia di perfezione e di progresso, destinati a realizzare anche al di fuori o contro le istituzioni tipicamente primitive che li conservarono, li diffusero e li potenziarono”.
Nel 1938, in tempi in cui “l’idea d’Europa non si era ancora affacciata alla ribalta della storia” – scriveva nella biografia pubblicata in premessa a “La cultura alla corte di Federico II imperatore” edito da le “Edizioni all’insegna del Veltro” nel 1990 Francesco Giunta (forse dimenticando che proprio in quegli anni i popoli europei stavano risvegliando, al crepuscolo della loro storia, la propria identità e il proprio destino comune) – Antonino de Stefano dedicava, in fin dei conti, all’Europa e alla sua tradizione il volume “Civiltà medievale” da poco ripubblicato da “Cinabro Edizioni”.
È l’Europa infatti la protagonista di questa sintesi del millennio medievale: è dall’incontro della romanità e del germanesimo con la religione cristiana – le tre gambe su cui si edificò la “cattedrale” della civiltà medievale – che può dirsi essere nata “l’Europa, creazione cristiana e medievale; un’Europa in cui – scriveva ancora de Stefano – l’elemento latino e quello germanico concorsero ad alimentarne insieme l’unità organica”; un’Europa “necessariamente cristiana”, cui fu altresì “necessario un principio universale più alto che equilibrasse” i suoi naturali dissidi interni.
Quale monito più alto per i moderni tentativi di unificazione e pacificazione dell’Europa che dal secondo dopoguerra ad oggi si è avuto la pretesa di rendere autonomi e indipendenti (se non ostili) da qualsiasi principio superiore e, anzi, di fondarli sul commercio e gli interessi economici che per antonomasia sono causa di dissidi e divisione? D’altra parte, la Tradizione – più che semplicemente la storia – è maestra di vita e i moderni hanno rinunciato ad essere suoi discepoli.