Proponiamo qui un estratto di Exempla. L’ideale eroico nell’epica greca e romana di Mario Polia. Un’opera che ripercorre, attraverso l’analisi di esempi tratti dalla tradizione greca e romana, figure emblematiche delle tradizioni greco-romane quali espressioni della Tradizione. Un’antologia fondamentale per la riscoperta dell’eredità spirituale europea e l’invito verso una vita votata all’Alto, alla luce e alla bellezza.
Alcuni degli exempla qui esposti, pur essendo inseriti dalla tradizione in specifici contesti della storia romana, possono non essere realmente accaduti. Si tratta di quelle che la moderna critica storica e letteraria considera, non senza un malcelato disprezzo, ‘historiae fictae: narrazioni inventate’.
Dalla prospettiva culturale, quella di cui ci occupiamo, tuttavia, il fatto che una narrazione possa essere stata inventata non invalida la realtà del suo contenuto ideale. Anche se il fatto non si è avverato come da copione sul grande palcoscenico della storia, gli autori della fictio e la tradizione che accolse tali fictiones giudicavano il fatto possibile.
Lucrezia, Orazio Coclite, Muzio Scevola e tanti altri sono realmente esistiti? La stessa domanda vale per Romolo e per Numa.
Non è questo che importa: per la tradizione romana, tali personaggi rappresentano i prototipi cui fa riferimento il civis romanus, uomo o donna, giovane o vecchio, nobile o plebeo.
La ‘verità’ di tali personaggi non è storica ma culturale: è vera per quanto riguarda il dominio della religione, dell’etica, del diritto. Ed è ciò che a Roma interessava e a noi interessa.
I più negano a Roma la capacità di creare una sua mitologia e la si è accusata d’importare i miti dalla Grecia o dall’Oriente.
Siamo dinanzi a un ennesimo giudizio capzioso: Roma recepisce il mito, lo storifica e lo riferisce alla propria storia.
Dietro a personaggi quali Orazio Coclite ‘il guercio’ e Muzio Scevola ‘il monco’, ad esempio, s’intravede agevolmente la trama di un mito indoeuropeo che, tra i germani, plasma la figura di Odino. Come Odino-Bíleigr ‘cieco d’un occhio’, il Coclite romano atterrisce i nemici con lo sguardo insostenibile del suo unico occhio, proprio come Odino-Báleigr ‘dall’occhio fiammeggiante’ atterrisce i nemici di Asgardhr. Come il germanico Heimdallr, l’eroe romano svolge il ruolo di guardiano del ponte ma a Roma i nemici non sono le orde dei giganti che premono ai confini della Terra di Mezzo, né il lupo infernale Fenrir che tronca la mano di Týr, divino garante del diritto. Il mito romano fa riferimento a entità concrete, a nemici storicamente esistiti contro i quali Roma ha dovuto lottare per affermare la propria identità: gli Etruschi.
In questo contesto storico, Roma celebra, e talvolta ‘inventa’ (ma l’invenzione equivale a una celebrazione) le figure di Orazio Coclite e Muzio Scevola. E le addita ad esempio.
Le ‘historiae fictae’ dell’antica Roma possiedono il valore fondante del mito: offrono modelli di comportamento; rinsaldano la fede nei valori comuni sui quali si fonda lo ius e la res publica, gli stessi che, aderenti al mos maiorum, permettono la coesione sociale e orientano il cittadino alla loro salvaguardia e difesa.
La promessa di aeternitas con cui Giove inaugura i destini di Roma presuppone che l’agire del romano sia conforme al divino progetto che concesse a Roma imperium sine fine.
Ecco, dunque, una serie di exempla, scelti tra i moltissimi, che coinvolgono uomini e donne partecipi in prima persona dello spirito e della (meta)storia di Roma.